lunedì 11 luglio 2011

Una fattoria per il futuro

"Ho sempre pensato che la campagna del Devon fosse il luogo più bello del mondo e per me questa è una fattoria molto speciale, perché è dove sono cresciuta ed è l'unico posto che io abbia mai davvero chiamato casa".

Si apre così il documentario di Rebecca Hosking sui rapporti tra energia, e agricoltura, picco del petrolio, filiera agroindustriale e soluzioni in permacultura. Rebecca è nata e cresciuta in una fattoria del Devon (Inghilterra) e dopo aver intrapreso la carriera di documentarista naturalista, che l'ha portata a girare il mondo, ha deciso di tornare a "casa". 
"L'avanzare di una crisi energetica -dice Rebecca- potrebbe portare a una rivoluzione del sistema agricolo e cambiare per sempre la campagna inglese; questo avrà delle conseguenze su ciò che mangiamo, sulla sua provenienza e sul preoccupante interrogativo se ci sarà abbastanza cibo per tutti, per sopravvivere a tutto questo, la nostra fattoria dovrà cambiare, dovrà diventare una fattoria adatta al futuro".

Negli ultimi decenni ci siamo ritrovati a consumare più petrolio di quello che si preleva, intaccando così le riserve e generando forti impatti a livello ambientale, basta citare i cambiamenti climatici tanto per intenderci.
Dopo il settore dei trasporti, l'agricoltura è il settore più produttivo e inevitabilmente anche quello più energivoro. Mentre fino a un secolo fa gli agricoltori conservavano i semi da un raccolto all'altro, e i fertilizzanti spesso venivano dalla fattoria stessa sottoforma di letame, oggi l'agricoltura industriale ha radicalmente sconvolto il sistema. Ogni prodotto della terra richiede consumo di petrolio: dai macchinari per dissodare la terra, ai fertilizzanti per far crescere le piante, dai pesticidi per proteggerle ai macchinari per raccoglierle, trasportarle e lavorarle. E' indubbio che la rivoluzione agricola ha portato grossi vantaggi in termini di quantità prodotte, ma questi benefici hanno un costo: nel mondo industrializzato usiamo 10 calorie di energia per produrre una caloria alimentare. Un rapporto questo energeticamente e economicamente parlando insostenibile, ma che ci piaccia o no, allo stato attuale delle cose senza il petrolio noi non potremmo mangiare.

A questo punto diventa cruciale non più domandarsi quando e quale sarà il momento esatto in cui il petrolio sarà completamente esaurito, ciò che invece è necessario capire è come effettuare una transizione agroalimentare verso un modello indipendente dai combustibili fossili(pdf) (Consiglio questa lettura).

Indipendentemente dalla lettura che vi ho appena consigliata, vorrei soffermarmi su un argomento per me nuovo, ma molto accattivante. Nel documentario di Rebecca Hosking, una delle strategie proposte in tema di agricoltura e sostenibilità è quella nota come Permacultura sviluppata in Australia nel 1978 da Bill Mollison e David Holmgren. La permacultura insegna a progettare insediamenti umani che imitano gli ecosistemi naturali: ciò vuol dire creare sistemi produttivi che durino nel tempo, che siano sostenibili, equilibrati e stabili; ovvero in grado di auto-mantenersi e rinnovarsi con un basso input di energia. Si tratta di una pratica integrata di progettazione e conservazione consapevole ed etica di ecosistemi produttivi che dà come risultato un ambiente sostenibile, stabile, duraturo, equilibrato ed estetico. Essa utilizza il territorio imitando i legami e le relazioni che si ritrovano negli ecosistemi naturali al fine di avere abbondanza di alimenti, fibre ed energia per coprire le esigenze locali.

Per saperne di più vi lascio alla visione del documentario.


1 commenti:

Anonimo ha detto...

Ho letto “…una transizione agroalimentare verso un modello indipendente dai combustibili fossili”, molto interessante. Invece adesso vorrei essere io a proporti una paginetta interessante (a mio avviso) del libro di Daniel Goleman – INTELLIGENZA ECOLOGICA – che ti consiglio vivamente sempre che tu non lo abbia già letto.
“Da oltre mille anni Sher, un minuscolo villaggio tibetano, rimane tenacemente aggrappato alla sua esistenza, nonostante la sua infelice collocazione, appollaiato com’è su una stretta sporgenza pianeggiante situata lungo il ripido pendio di una montagna. Questo luogo, sull’arido altopiano del Tibet, riceve soltanto un’ottantina di millimetri di precipitazioni all’anno, ma ogni singola goccia viene raccolta in un antico sistema d’irrigazione. La media annuale delle temperature si aggira intorno allo zero, e da dicembre a febbraio la colonnina del mercurio può scendere tra i -20° e i – 30°C. le pecore di questa regione hanno una lana fittissima che trattiene benissimo il caldo; con la lana filata e intrecciata localmente vengono prodotti vestiti e coperte che aiutano gli abitanti del villaggio a sopportare i tremendi rigori dell’inverno, utilizzando in genere come riscaldamento solo il caminetto di casa.
Il tetto degli edifici in pietra e canniccio va rifatto ogni dieci anni, e il legno viene fornito dai salici che crescono lungo i canali d’irrigazione. Ogni volta che un ramo viene tagliato per costruire i tetti, sull’albero ne viene innestato uno nuovo. Un salice vive circa quattrocento anni e, quando muore, al suo posto ne viene piantato un altro. I rifiuti prodotti dall’uomo vengono riciclati come fertilizzanti per le piante erbacee, gli ortaggi e i campi d’orzo – la fonte alimentare principale del luogo, la tsampa -, oltre che per radici commestibili da immagazzinare per l’inverno.”
Certo ancora una volta mi rendo conto della complessità e della portata di certi argomenti a cui fanno seguito alcune mie domande di cui al momento non riesco a dare nessuna risposta soddisfacente…o forse più semplicemente temo di darla : il nostro popolo occidentale è davvero il popolo “eletto”, portatore di scienza, evoluzione e tecnologia? Forse si, anzi sicuramente si, ma a che prezzo? Che cos’è la qualità della vita? Due generazioni fa, i nostri nonni, non erano più “ecocompatibili” con il nostro ambiente di quanto non lo siamo noi oggi? Da dove si riparte per invertire una “tendenza” che ci sta portando sempre più verso l’abisso?
Forse qualche risposta la comincio a intravedere nella forza e nella speranza dei giovani come te, la mia generazione ha fallito.