domenica 3 luglio 2011

Il caffè: se inquina che piacere è?


Georges Courtline, celebre poeta, scrittore e drammaturgo francese, a proposito del caffè disse:“ Si cambia più facilmente religione che caffè!


Prendo ispirazione da un articolo di Federica Seneghini pubblicato sul numero 125 di Altra Economia, al fine di cogliere la vostra attenzione e dirottarla su un tema che di fatto è sotto gli occhi di tutti, ma che nella realtà quotidiana è ben celato dalle opportune tecniche del brand management.
La Seneghini scrive: “le capsule usa e getta mandano in pensione la moka”. Secondo i dati forniti da Gfk le vendite delle macchine da caffè in capsule sono aumentate del 21,9% solo nel 2010, a discapito della vecchia e cara moka, le cui vendite si attestano a -14,9%. Sarà merito dell’affascinante Clooney o del simpatico duo Bonolis-Laurentis, o semplicemente è che si corre così tanto da non avere più tempo per un caffè vecchia maniera, fatto sta che quello che prima era un rito adesso si sta trasformando in una sorta di status symbol che fa incassare ai grandi marchi cifre come 2,12 miliardi di euro l’anno (fatturato Nespresso).

E mentre le pubblicità ci raccontano di aromi sensuali e di luoghi di degustazione simili a boutique francesi, non ci rendiamo conto che preferendo la capsula alla moka non solo paghiamo un caffè 7 volte di più, ma contribuiamo ad inquinare l’ambiente. Non ci avevate pensato vero? In realtà neppure io.
Consideriamo l’aspetto economico. Innanzi tutto dobbiamo acquistare la macchina il cui prezzo varia dai 150 € ai 500 € in base al modello e alla marca. Una buona moka, esagerando, può venire a costare intorno ai 25 €. Poi c’è da affrontare la questione capsule. La singola capsula contiene circa 5 gr di caffè e il suo costo si aggira intorno ai 0.40 €. A conti fatti un chilo di caffè in capsula viene a costarci circa 80 €, a fronte dei 10.60 € di un chilo di  miscela classica di caffè equosolidale (che fa bene a noi e a chi lo produce). Non è poi così conveniente per le nostre tasche vero?

Soffermiamoci infine sull’aspetto strettamente ambientale. Una volta utilizzate le capsule vengono gettate nell’indifferenziato (poiché parzialmente contaminate dalla polvere di caffè non è possibile riciclarle) andando a gravare sul problema rifiuti che di questi tempi è fortemente avvertito nella nostra penisola; ma è chiaro che prima di diventare rifiuti le capsule devono essere prodotte e quanto pesa la loro produzione? Il team Rifiuti Zero del comune di Capannori (Lucca) ha condotto uno studio approfondito: per realizzare un chilo di capsule usa e getta occorrono 4 chili di acqua, 2 chili di petrolio e 22 kilowatt di energia elettrica. Considerando che solo nel nostro Paese si consumano un miliardo di capsule da caffè usa e getta, è chiaro che l’impatto ambientale in termini di inquinamento e consumo di risorse ed energia è notevole.

E’ vero, esistono delle alternative come ad esempio le cialde in carta, (quelle proposte da altro mercato) o quelle biodegradabili (quelle proposte da Illy caffè), le quali una volta utilizzate vengono smaltite nell’organico. Si potrebbe persino tentare la strada del “vuoto a rendere”, ma in ogni caso ai costi ambientali ed economici legati alla produzione e trasporto del caffè se ne vanno ad aggiungere altri, anche se minimi. A rigor di logica la soluzione amica dell’ambiente resta ancora e sempre la moka.  

Spesso le mode del momento ci impongono logiche che pensiamo siano nostre, ma che si rivelano frutto di un marketing studiato a tavolino e  che ci spaccia per necessario ciò che in realtà è estremamente superfluo: c’è poi la voce fuori coro, quella che mette tutto in discussione e che porta l’ascoltatore attento a porsi la fatidica domanda: “mi serve davvero?”. E’ questo il punto di partenza per trasformarsi da consumatori passivi a consumatori critici e responsabili attenti alle proprie scelte e ai propri stili di vita.

6 commenti:

Anonimo ha detto...

In passato, i gruppi di cittadini interessati a tutta una serie di questioni - dal salvataggio delle foreste pluviali all'individuazione delle fabbriche colpevoli di sfruttamento dei lavoratori - facevano pressione sui governi per far approvare leggi che fossero in linea con i loro obiettivi. In tempi più recenti, molte di queste lobby cittadine hanno però cambiato strategia, convincendo gli acquirenti a boicottare i prodotti incriminati. In pratica si tratta di un'azione collettiva di consumatori - o la minaccia di un'azione del genere - per spostare l'attenzione dei mercati verso i prodotti che rispettino i valori sostenuti. Una strategia di mercato come questa può essere molto più efficace - e può agire molto più in fretta - delle regolamentazioni governative, come dire..."occhio per occhio..." invece di "porgi l'altra guancia..." temo solo che emerga il pericolo di infilarsi in problematiche nodali, grosse e spinose radicate dentro il cuore del tessuto della nostra società, che va a toccare diversi aspetti della sfera dell'uomo, da quello culturale a quello religioso all'attuale crisi politica, ma al momento non vedo alternative...cominciamo a fare un passo alla volta, dopo esserci chiariti quanto meno la complessità per cominciare a sperare in un cambiamento difficile ma possibile.

Anonimo ha detto...

http://www.ewg.org/sites/humantoxome/

Anonimo ha detto...

...inoltre, if you hear, l'indirizzo web sovrastante, studia l'impatto sul corpo umano dei sottoprodotti chimici dell'industria e del commercio

Sefora ha detto...

Sito interessante quello segnalato. Grazie

Misty ha detto...

Ciao Sefora,
è da un pò che non si "sente".
Complimente per questo articolo!

Sefora ha detto...

Ciao Misty, grazie per i complimenti. Un abbraccio