oscurità dello spazio. Non c'è niente come lui nel sistema solare, perchè c'è l'acqua"
(Johnn Todd)
In questi giorni è avvenuto un incidente importante: un cargo turco in fiamme, diretto a Trieste con a bordo 1.000 tonnellate di greggio, sta andando alla deriva al largo della costa adriatica croata, minacciando di inquinare le spiagge. Per fortuna le persone a bordo sono state tratte in salvo, ma la situazione pur sembrando sotto controllo, potrebbe portare a conseguenze disastrose.
Il discorso sull’ecosistema marino è molto ampio, e non posso trattarlo con un solo post, tuttavia volevo soffermarmi su una questione importante. Gli incidenti delle petroliere o le esplosioni che si verificano nelle piattaforme di trivellazione, sono gli unici eventi che richiamano l’attenzione pubblica e fanno pensare al pericolo che il petrolio presenta per l’ecosistema marino. In realtà dovremmo pensare diversamente: la maggior parte del petrolio viene rilasciato normalmente durante le normali operazioni di trivellazione, dal lavaggio dei serbatoi delle petroliere stesse, e dal conseguente rilascio di acqua oleosa e dalle perdite dei serbatoi durante l’immagazzinamento. Uno studio eseguito dagli Amici Delle Terra nel 1993 mise in evidenza che ogni anno le sole compagnie petrolifere statunitensi, versano, sprecano o perdono petrolio in quantità uguale a quella trasportata da mille navi cisterna. Anche i depositi naturali rilasciano quantità di petrolio nell’oceano. Come vedete siamo continuamente bomabardati.
Gli effetti che il petrolio esercita sugli ecosistemi marini dipendono da molti fattori: tipo di petrolio (se grezzo o raffinato), la quantità rilasciata, la distanza della fuoriuscita dalla costa, il periodo dell’anno, le condizioni del tempo, la temperatura media dell’acqua e le correnti oceaniche. La maggior parte delle forme di vita marina recupera dall' esposizione a grosse quantità di petrolio nel giro di tre anni. Il recupero all’esposizione di petrolio raffinato è più lento, circa 10 anni ed è ancora più lungo se pensiamo agli estuari, ai golfi chiusi o alle baie con acque poco profonde. Le spiagge inquinate da petrolio dilavate da onde alte o dalle correnti ritornano pulite dopo un anno, ma nelle zone salmastre e negli estuari il danno permane per molto tempo. E’ chiaro che tutto questo ha delle ripercussioni profonde in quella che è l’economia legata al turismo oltre che a un impatto ambientale di notevole considerazione, tradotto in perdita di biodiversità.
Come al solito le soluzioni che vi suggerisco non sono nulla di difficile o di eclatante, ma dovrebbero essere prese realmente in considerazione nelle politiche di gestione:le parole le porta via il vento, ma i problemi rimangono. Non si vuole capire che prevenire è meglio che curare.
Le soluzioni sono molte e svariate, ma vi cito solo quelle legate al discorso petrolifero. Bisognerebbe promuovere politiche volte alla tutela delle aree costiere sensibili e di valore ecologico, proteggendole dallo sviluppo, dalle perforazioni di petrolio e dal suo trasporto via mare; bisognerebbe obbligare all'uso di doppi fondi per le petroliere; e pianificare con strumenti efficaci rotte di navigazione che non siano fonti di disturbo per l'ecositema stesso, inteso come insieme di vita e di habitat.
2 commenti:
Sefy ti posto qualche link sull'utilizzo di alcuni batteri usati (ancora a livello sperimentale) nella degradazione del petrolio scaricato in mare.
http://www.ecplanet.com/canale/scienza-1/batteri-66/0/0/12205/it/ecplanet.rxdf
http://www.mustambiente.splinder.com/post/9309436/Batteri+mangiatori+di+petrolio
Speriamo che queste nuove scoperte vengano applicate e che il nostro "Padre Oceano" per rimanere in tema col tuo blog, non diventi una fogna a cielo aperto.
"O mare nero mare nero mare ne, tu eri chiaro e trasparente come me..."
L. Battisti - La canzone del sole
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