sabato 9 febbraio 2008

SOS PETROLIO

"il nostro liquido pianeta brilla come uno zaffiro nell'assoluta
oscurità dello spazio. Non c'è niente come lui nel sistema solare, perchè c'è l'acqua"
(Johnn Todd)
In questi giorni è avvenuto un incidente importante: un cargo turco in fiamme, diretto a Trieste con a bordo 1.000 tonnellate di greggio, sta andando alla deriva al largo della costa adriatica croata, minacciando di inquinare le spiagge. Per fortuna le persone a bordo sono state tratte in salvo, ma la situazione pur sembrando sotto controllo, potrebbe portare a conseguenze disastrose.

Il discorso sull’ecosistema marino è molto ampio, e non posso trattarlo con un solo post, tuttavia volevo soffermarmi su una questione importante. Gli incidenti delle petroliere o le esplosioni che si verificano nelle piattaforme di trivellazione, sono gli unici eventi che richiamano l’attenzione pubblica e fanno pensare al pericolo che il petrolio presenta per l’ecosistema marino. In realtà dovremmo pensare diversamente: la maggior parte del petrolio viene rilasciato normalmente durante le normali operazioni di trivellazione, dal lavaggio dei serbatoi delle petroliere stesse, e dal conseguente rilascio di acqua oleosa e dalle perdite dei serbatoi durante l’immagazzinamento. Uno studio eseguito dagli Amici Delle Terra nel 1993 mise in evidenza che ogni anno le sole compagnie petrolifere statunitensi, versano, sprecano o perdono petrolio in quantità uguale a quella trasportata da mille navi cisterna. Anche i depositi naturali rilasciano quantità di petrolio nell’oceano. Come vedete siamo continuamente bomabardati.
Gli effetti che il petrolio esercita sugli ecosistemi marini dipendono da molti fattori: tipo di petrolio (se grezzo o raffinato), la quantità rilasciata, la distanza della fuoriuscita dalla costa, il periodo dell’anno, le condizioni del tempo, la temperatura media dell’acqua e le correnti oceaniche. La maggior parte delle forme di vita marina recupera dall' esposizione a grosse quantità di petrolio nel giro di tre anni. Il recupero all’esposizione di petrolio raffinato è più lento, circa 10 anni ed è ancora più lungo se pensiamo agli estuari, ai golfi chiusi o alle baie con acque poco profonde. Le spiagge inquinate da petrolio dilavate da onde alte o dalle correnti ritornano pulite dopo un anno, ma nelle zone salmastre e negli estuari il danno permane per molto tempo. E’ chiaro che tutto questo ha delle ripercussioni profonde in quella che è l’economia legata al turismo oltre che a un impatto ambientale di notevole considerazione, tradotto in perdita di biodiversità.
Come al solito le soluzioni che vi suggerisco non sono nulla di difficile o di eclatante, ma dovrebbero essere prese realmente in considerazione nelle politiche di gestione:le parole le porta via il vento, ma i problemi rimangono. Non si vuole capire che prevenire è meglio che curare.
Le soluzioni sono molte e svariate, ma vi cito solo quelle legate al discorso petrolifero. Bisognerebbe promuovere politiche volte alla tutela delle aree costiere sensibili e di valore ecologico, proteggendole dallo sviluppo, dalle perforazioni di petrolio e dal suo trasporto via mare; bisognerebbe obbligare all'uso di doppi fondi per le petroliere; e pianificare con strumenti efficaci rotte di navigazione che non siano fonti di disturbo per l'ecositema stesso, inteso come insieme di vita e di habitat.

2 commenti:

OrsoBruno ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
OrsoBruno ha detto...

Sefy ti posto qualche link sull'utilizzo di alcuni batteri usati (ancora a livello sperimentale) nella degradazione del petrolio scaricato in mare.
http://www.ecplanet.com/canale/scienza-1/batteri-66/0/0/12205/it/ecplanet.rxdf
http://www.mustambiente.splinder.com/post/9309436/Batteri+mangiatori+di+petrolio
Speriamo che queste nuove scoperte vengano applicate e che il nostro "Padre Oceano" per rimanere in tema col tuo blog, non diventi una fogna a cielo aperto.

"O mare nero mare nero mare ne, tu eri chiaro e trasparente come me..."

L. Battisti - La canzone del sole